Palazzo Tafuri, un’oasi di gusto e raffinatezza

Alla scoperta dello storico palazzo di Nardò trasformato in un hotel boutique di lusso con ristorante. Lo chef Capoccello già insignito del titolo nazionale di chef emergente


Un palazzo che affonda le radici nella storia del XIV secolo, quando le grandi sale e i corridoi erano popolati dai membri della famiglia Tafuri, e dove oggi si respira un’aria senza tempo ma di incredibile modernità.

Palazzo Tafuri, nel cuore del centro storico di Nardò, è uno degli edifici più prestigiosi del comune salentino, rivestito da un paio di mesi di una nuova vocazione. Merito di Antoine e Ghislaine d’Espous, due coniugi francesi protagonisti dell’imprenditoria transalpina e fautori della trasformazione dello storico palazzo in un boutique hotel da diciassette camere e suite a vocazione botanica. Una passione per il verde e per il naturale che appare immediatamente chiara non appena si varca il grosso portone che conduce nella corte agghindata di piante e alberelli, e le ragioni di questo legame sono diverse.

In primo luogo Ghislaine è presidente dei parchi botanici di Francia e il suo tocco è stato prezioso. C’è da dire che anche il primo residente di Palazzo Tafuri, Vincenzo Maria Zimara, era un farmacista ed erborista molto noto. L’omaggio verde è presente pure nelle camere: ognuna espone una stampa di Blossfeldt, appassionato botanico del 1700, o una fotografia contemporanea di una pianta locale firmata dall’artista salentino Rocco Casaluci.

Soggiornare a Palazzo Tafuri è un’esperienza unica e, posso confidarvelo, è anche merito di un gruppo di lavoro che ha reso possibile un progetto visionario e magico: il direttore Athanase de Joussineau, la Room Division Manager Alisa Gorilovska, l’architetto Claudio Colaci; a seguire le fila del progetto nella sua interezza, con un occhio attento all’interior styling e il sourcing, Vincent De Cat.

Dopo aver vagato lungo scale e luminose sale, goduto di una bellissima mattinata in piscina e aver degustato (in attesa del pranzo) un assaggio del buffet di piatti tipici della Puglia, ho finalmente potuto testare la cucina dello chef salentino Antonio Capoccello. Giovane e talentuoso, originario di Salice Salentino, Antonio è tornato a casa dopo svariati anni trascorsi all’estero: s’è fatto le ossa nella cucina del ristoranteDon Alfonso” di Sant’Agata sui Due Golfi, a “Palazzo Seneca” di Norcia, nel “Cantinin dal Gatt” di Bellinzona e poi ancora in Svizzera, in Brasile, alle Maldive e a Dubai.


L’incontro con Antoine è stato illuminante, così come forte è stata la convinzione di sposare il suo progetto e di fare ritorno a casa. Recentemente premiato come miglior chef emergente da Food and Travel Italia, chef Capoccello valorizza materie prime di eccellente qualità, come il prosciutto San Daniele e il foie gras di produzione diretta della società di proprietà dell’imprenditore francese, contaminate dai sapori del Mediterraneo.

Una cucina sostenibile e raffinata quella proposta all’interno del ristorante aperto sia agli ospiti dell’hotel che al pubblico, all’insegna della puntuale stagionalità. Ho assaggiato alcune fra le portate di punta nel menu autunnale: gli Spaghettoni Gentile ai due pomodori, basilico fresco e cialda di parmigiano, il tagliolino ai funghi porcinitartare di manzo, senape di Dijon, salsa bernese e uovo di quaglia.


Di influenza francese, poi, la linguina con champagne, burro e caviale e i tortelli all’uovo con fonduta di brillat-savarin, pesto di dragoncello e polvere di alloro. Ottimi.

Secondi piatti a scelta, per tutti i gusti, fra carne e pesce: per citarne alcuni preparati in occasione della mia visita, la ombrina con crema di pomodorini, capperi, salsa di basilico e polvere di olive nere e la pancia di maiale cotta in CBT, sottovuoto per 48 ore a 62 gradi, con scalogna confit, crema di peperoni e friggitelli.

La cucina di chef Capoccello stupisce per la qualità degli ingredienti e le contaminazioni internazionali che, coniugate alle radici salentine, raccontano un vero e proprio miracolo a tavola. La fantasia e la creatività, poi, sono come il cacio sui maccheroni.




Barbara Politi