Gimmi, l’oasi del gusto a Lecce

Il tempio gastronomico leccese è guidato da Donato Episcopo. Nei piatti dello chef l’anima contemporanea e le radici del passato.

La magia di Gimmi nel Chiostro dei Domenicani

Quando si entra in contatto con la realtà del “Gimmi Restaurant”, a Lecce, la sensazione è totalizzante. Raccolto com’è in un luogo che trasuda le suggestioni della storia, bellissimo e fascinoso nel suo respiro antico, a dir poco commovente nell’ultimo scampolo della geografia pugliese, il Salento.

Appena fuori le mura urbiche della città barocca, infatti, trova spazio il “Chiostro dei Domenicani”, il convento simbolo del capoluogo, in cui rivive tutta l’immensità della pietra leccese. Un gioiello architettonico che, con la cripta e gli affreschi ancora visibili, racchiude le virtù del valore gastronomico del territorio.

La filosofia di Donato Episcopo e la cucina

La filosofia culinaria del “Gimmi Restaurant” è Donato Episcopo. Un uomo, prima che uno chef.

Animo gentile e buone maniere valorizzano la lunga esperienza e il talento di un maestro indiscusso che, dal giorno del suo ritorno a casa, ha plasmato a sua immagine e somiglianza l’ideologia gastronomica del fiore all’occhiello della ristorazione salentina. La ritualità e la preghiera invocate dal convento, come giustificate da un nesso logico e spirituale, ritornano nei piatti firmati dallo chef, professionista di lungo corso e perciò profondo conoscitore della materia prima del territorio con tutte le sue potenzialità.

È un po’ come ciò che accade in campo, per utilizzare una metafora calcistica. Un discorso è avere un campione in squadra, altra cosa è la capacità dell’allenatore di posizionarlo nel giusto ruolo.

Gli ingredienti eccellenti per qualità, sia che essi provengano dall’orto o dal mare, vengono esaltati da Episcopo nelle loro peculiarità, celebrati nella forza intrinseca, esaltati nella bellezza e autenticità. Le reminiscenze della formazione accanto a mostri sacri della cucina come Heinz Beck (La Pergola di Roma) e le esperienze fuori regione emergono potenti, ma sempre misurate. In fondo, l’obiettivo di Episcopo è sempre quello di sbrogliare “la Matassa” dei nostri tempi, richiamata anche in uno dei suoi più celebri percorsi.

Un concetto sempre vivo, quello della matassa, che invita a sciogliere i nodi e i fili in cui troppo spesso incappa la cucina italiana, alla costante ricerca di un equilibrio perfettibile, tra passato e presente, tra tradizione e innovazione (come in molti, ormai, ironizzano), fra semplicità e ricerca. Il suo è un inno al gusto genuino, scevro da sovrastrutture.

Il padrone di casa, la sala e l’accoglienza elegante

E a proposito di allenatori, per restare in tema, in casa “Gimmi” è stata senza alcun dubbio determinante, e illuminante, la lungimiranza di un altro allenatore. La visione di Giovanni Fedele – al quale si deve dare il merito di aver riconsegnato alla città un tesoro di incommensurabile valore storico e culturale come il Chiostro dei Domenicani – è stata decisiva.

Affidare la responsabilità di un ristorante elegante e aggraziato come Gimmi a una firma importante dello scenario nazionale come Donato Episcopo, che ha cullato fin dal suo momento embrionale il progetto, portandolo per mano nel suo percorso di crescita. Scelta vincente, considerato che ad appena un anno dalla sua apertura Gimmi Restaurant è già segnalato dalla Michelin fra le tappe obbligate in Puglia. Il recupero del convento, iniziato dal papà di Giovanni (cui si deve il nome Gimmi), che raccoglie una tale realtà eccezionale di ristorazione, rappresentano un mix di elevato interesse per i tanti clienti che raggiungono Lecce per conoscerla a tavola.

Accanto al patron, in sala, due figure di riferimento: il restaurant manager Alessandro Passagrilli e la sommelier, Ilaria De Filippis.

Main e nuovi ingressi nel menu

“Un eclettico viluppo. Suoni confusi, lingue d’oltremare che si legano a calde tradizioni annodate dal vento. Un filo scaldato dal sole, intrecciato da secolari mescolanze. Un bandolo per sbrogliare la Matassa attraverso tre menù degustazione”.

I percorsi sono definiti, chiari: “SOLENOIDE” (4 portate), “INTRECCIO” (6 portate), “MATASSA” (8 portate”). Tre storie, un unico fil rouge: come raccontato dallo chef, “l’anima e il linguaggio mediterraneo”.

Del resto, è quanto si legge nei piatti. Come nel caso del “Tataki di Manzetta e fave di cacao, con spuma di rafano e “Bloody Mary”;

del “Salmone selvaggio marinato con caprino, chutney di mango, olive Bella di Cerignola al kumquat e sesamo bianco”;

della “Zuppa di cipolle rosse di Tropea” con tacos di ceci di Zollino e mantecato di baccalà.

Il Salento e la Puglia si fondono con le eccellenze gastronomiche più rappresentative d’Italia, in un matrimonio di sapori sempre equilibrato, paritario. Accade nei primi piatti, in un valzer che vede protagonisti il “Risotto Carnaroli Gran Riserva al D’Araprì Brut, con gambero rosso e piselli”,

i “Bottoni di patate e concentrato di Datterino, con burrata di Andria

e le “Eliche Benedetto Cavalieri, nel guazzetto di scorfano e plancton marino”.

Nei secondi, con la “Cotoletta di maialino iberico, con carciofo alla Giudea e alici

e con lo “Sformato di agnello nostrano, con vellutata di spinacini, mais e topinambur”.

A chiudere in bellezza, e in dolcezza soprattutto, scelgo il “Ba-Ba-Ba”, supremo di babà al rum e sorbetto alla barbabietola e banana, accompagnato da un’accurata selezione di formaggi.




Barbara Politi